L’inflazione può minare la ripresa post covid

Il Pil nel corso del 2020 è infatti cresciuto del 2,2% in Cina, diminuito del 3,5% negli Stati Uniti, del 6,8% nella zona Euro e dell’8,9% in Italia.

Da questi dati ci rendiamo conto che, non solo per le differenti velocità delle vaccinazioni, ma anche per la diversa dimensione e rapidità degli interventi pubblici, i tre grandi protagonisti dell’economia mondiale reagiscono alla pandemia in modo radicalmente divergente. A questo punto, l’osservazione riguarda il nuovo e impressionante ruolo dello Stato in questa particolare congiuntura economica. Un ruolo che, andando ben oltre le tradizionali politiche monetarie e gli incentivi settoriali provvede a sostenere in modo diretto la sopravvivenza delle imprese e il reddito dell’enorme numero di cittadini colpiti dalla pandemia in tutti i Paesi del mondo.

La gravità della crisi ha fatto in modo che siano stati accettati e richiesti interventi pubblici che mai si sarebbero immaginati in passato. Il punto interrogativo riguarda quanto questa politica economica, che ha fatto seguito alla pandemia possa provocare una ripresa dell’inflazione. L’interrogativo non è fuori luogo, perchè abbiamo già in atto un aumento forte ed imprevisto dei prezzi delle materie prime e dei prodotti intermedi in tutti i mercati mondiali : dal rame all’acciaio, a cui si aggiungono le terre rare e i componenti elettronici e infiniti altri prodotti, per non parlare del petrolio che, da un minimo di 20 dollari al barile all’inizio della pandemia, ha raggiunto un prezzo tre volte superiore.

La maggioranza degli economisti sostengono che, se ci sarà una ripresa dell’inflazione, sarà modesta e, soprattutto, temporanea, dato che i disoccupati sono ancora tanti e il progresso tecnologico rende possibili straordinari aumenti di produttività.

La speranza è che possiamo contare su un periodo di crescita stabile, accompagnato solo da una leggera temporanea inflazione.

Fabio D’Amora